Messa quotidiana

Santa Messa 17-10-18

SANT’IGNAZIO DI ANTIOCHIA

Dalla data del 1° febbraio, la memoria di Sant’Ignazio Martire è stata riportata ad oggi, data tradizionale del suo martirio, dal nuovo Calendario ecclesiastico, che la prescrive come obbligatoria per tutta la Chiesa.
Sant’Ignazio fu il terzo Vescovo di Antiochia, in Siria, cioè della terza metropoli del mondo antico dopo Roma e Alessandria d’Egitto.
Lo stesso San Pietro era stato primo Vescovo di Antiochia, e Ignazio fu suo degno successore: un pilastro della Chiesa primitiva così come Antiochia era uno dei pilastri del mondo antico.
Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, e che anzi si convertisse assai tardi. Ciò non toglie che egli sia stato uomo d’ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo. I suoi discepoli dicevano di lui che era ” di fuoco “, e non soltanto per il nome, dato che ignis in latino vuol dire fuoco.
Mentre era Vescovo ad Antiochia, l’Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che privò la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità.
Arrestato e condannato ad bestias, Ignazio fu condotto, in catene, con un lunghissimo e penoso viaggio, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell’Imperatore vittorioso nella Dacia e i Martiri cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati e divorati dalle belve.
Durante il suo viaggio, da Antiochia a Roma, il Vescovo Ignazio scrisse sette lettere, che sono considerate non inferiori a quelle di San Paolo: ardenti di misticismo come quelle sono sfolgoranti di carità. In queste lettere, il Vescovo avviato alla morte raccomandava ai fedeli di fuggire il peccato; di guardarsi dagli errori degli Gnostici; soprattutto di mantenere l’unità della Chiesa.
D’un’altra cosa poi si raccomandava, scrivendo particolarmente ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non tentare neppure di salvarlo dal martirio.
“lo guadagnerei un tanto – scriveva – se fossi in faccia alle belve, che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Le accarezzerei, anzi, perché mi divorassero d’un tratto, e non facessero come a certuni, che han timore di toccarli: se manifestassero queste intenzioni, io le forzerei “.
E a chi s’illudeva di poterlo liberare, implorava: ” Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l’altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s’è degnato di mandare dall’Oriente in Occidente il Vescovo di Siria!
Infine prorompeva in una di quelle immagini che sono rimaste famose nella storia dei Martiri: ” Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché sia trovato puro pane di Cristo “.
E, giunto a Roma, nell’anno 107, il Vescovo di Antiochia fu veramente ” macinato ” dalle innocenti belve del Circo, per le quali il Martire trovò espressioni di una insolita tenerezza e poesia: ” Accarezzatele, scriveva infatti, affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno “.

Sono frumento di Dio: sarò macinato dai denti delle fiere

Dalla «Lettera ai Romani» di sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 4, 1-2; 6, 1 – 8, 3; Funk, 1, 217-223)

Scrivo a tutte le chiese, e a tutti annunzio che morrò volentieri per Dio, se voi non me lo impedirete. Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore.
A nulla mi gioveranno i godimenti del mondo né i regni di questa terra. E’ meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra. Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. E’ vicino il momento della mia nascita.
Abbiate compassione di me, fratelli. Non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Se qualcuno lo ha in sé, comprenda quello che io voglio e mi compatisca, pensando all’angoscia che mi opprime.
Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Nessuno di voi gli dia mano; state piuttosto dalla mia parte, cioè da quella di Dio. Non siate di quelli che professano Gesù Cristo e ancora amano il mondo. Non trovino posto in voi sentimenti meno buoni. Anche se vi supplicassi, quando sarà tra voi, non datemi ascolto: credete piuttosto a quanto vi scrivo ora nel pieno possesso della mia vita. Vi scrivo che desidero morire.
Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c’è più in me nessun’aspirazione per le realtà materiali, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: «Vieni al Padre». Non mi diletto più di un cibo corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David; voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile.
Non voglio più vivere la vita di quaggiù. E il mio desiderio si realizzerà, se voi lo vorrete. Vogliatelo, vi prego, per trovare anche voi benevolenza. Ve lo domando con poche parole: credetemi. Gesù Cristo vi farà comprendere che dico il vero: egli è la bocca verace per mezzo della quale il Padre ha parlato in verità. Chiedete per me che io possa raggiungerlo. Non vi scrivo secondo la carne, ma secondo il pensiero di Dio. Se subirò il martirio, ciò significherà che mi avete voluto bene. Se sarò rimesso in libertà, sarà segno che mi avete odiato.

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura
   Gal 5, 18-25
Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati
Fratelli, se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.
Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio.
Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge.
Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 1 
Chi ti segue, Signore, avrà la luce della vita.

Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte.

È come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene.

Non così, non così i malvagi,
ma come pula che il vento disperde;
poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi va in rovina.   

Canto al Vangelo   Gv 10,27
Alleluia, alleluia.

Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
e io le conosco ed esse mi seguono.
Alleluia.

Vangelo   Lc 11, 42-46
Guai a voi, farisei; guai a voi dottori della legge.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».
Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».