Messa quotidiana

Santa Messa 2-6-21

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SAN FELICE DA NICOSIA

Giacomo Amoroso nacque a Nicosia nel 1715, il padre Filippo era calzolaio e la madre Carmela Pirro badava alla numerosa famiglia. Il padre decise di far lavorare il figlio nella calzoleria piĂą importante del paese affinchĂ© si specializzasse in questo mestiere. Giacomo presto imparò il mestiere e nello stesso tempo si era avvicinato alla congregazione dei Cappuccinelli presso il convento di Nicosia. Era per tutto esempio in quanto la sua spiritualitĂ  la testimoniava in tutte le cose di ogni giorno. Nel 1733 decise di chiedere di entrare come fratello laico nell’ordine dei Cappuccini, ma non fu accolto, anche a causa delle condizioni economiche precarie della sua famiglia alla quale era fondamentale il suo apporto. Una volta morti i genitori nel 1743 riprovò a chiedere di essere ammesso tra i Cappuccini direttamente al provinciale che era in visita a Nicosia, e, finalmente, dieci anni dopo la sua prima richiesta venne ammesso al noviziato nel convento di Ristretta con il nome di fra Felice. L’anno seguente fece la professione e fu inviato nello stesso suo paese di origine dove per 43 anni esercitò il compito di questuante. Nel convento esercitò vari lavori, portinaio, ortolano, calzolaio e infermiere, fuori era il questuante non solo a Nicosia ma anche nei paesi vicini, Capizzi, Cerami, Mistretta e Gagliano.
Si definiva “u sciccareddu”, l’asinello che carico portava quanto raccolto al convento.
Aveva una particolare predilezione per i bambini, dalle sue tasche tirava fuori una noce, delle nocciole o delle face le regalava ai fanciulli ed in base al numero di queste cose ricordava loro le piaghe di GesĂą, la santissima TrinitĂ , i dieci comandamenti, piccoli regali che però davano l’opportunitĂ  a fra Felice di fare una breve e semplice lezione di catechismo.
Se per strada incontrava poveri con carichi particolarmente pesanti dava loro una mano per aiutarli, aiutava gli ammalati e cercava di fare qualcosa per i piĂą bisognosi. Tutte le domeniche era solito andare a trovare i carcerati.
Il superiore nonchĂ© padre spirituale spesso lo trattava duramente, lo umiliava appioppandogli nomignoli quali poltrone, ipocrita, gabbatore della gente, santo della Mecca, fra Felice rispondeva a ciò dicendo “sia per l’amor di Dio”. Ancora il superiore spesso lo obbligò ad esibirsi nel refettorio del convento con abiti carnevaleschi, distribuendo una massa di cenere impastata come fosse ricotta fresca, che miracolosamente lo diventò veramente.
Fra Felice distribuiva delle striscioline di carta sulle quali erano scritte delle invocazioni alla Beata Vergine e le utilizzava come rimedio infallibile per tutti i mali, appendendole alle porte delle abitazioni dove vi erano sofferenti ammalati o poveri, contrastava il fuoco che aveva attaccato i covoni da trebbiare, oppure appendendole nelle cisterne prive di acqua. Spesso avvenivano grazie ed eventi miracolosi che non facevano altro che accrescere la fama di fra Felice.
Una volta alleggerito da tutti i servizi data l’avanzata etĂ  e la malferma salute si dedicò alla preghiera.
Verso la fine del mese di maggio 1787 mentre era nel suo orto si accasciò senza piĂą forze e dopo alcuni giorni nel suo letto raccomandandosi a S. Francesco e alla Madonna chiese al superiore il l’obbedienza di morire. Morì il 31 maggio del 1787. Fu dichiarato Beato da papa Leone XIII il 12 febbraio 1888.
Papa Benedetto XVI, nella sua prima cerimonia di canonizzazione, lo ha proclamato santo il 23 ottobre 2005 in piazza San Pietro.
La data di culto per la Chiesa universale è il 31 maggio mentre i Frati Cappuccini lo ricordano il 2 giugno.

I poveri sono la persona di GesĂą Cristo, e si devono rispettare. Riguardiamo nei poverelli e negli infermi lo stesso Dio, e soccorriamoli con tutto l’affetto del nostro cuore e secondo le proprie nostre forze. Consoliamo con dolci parole i poveri ammalati e prontamente rechiamo loro soccorso. Non cessiamo mai dal correggere i traviati con maniere prudenti e caritative.
(Beato Felice da Nicosia)


Autore:
Carmelo Randello

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura
Tb 3, 1-11.16-17
La loro preghiera fu accolta davanti alla gloria di Dio.

Dal libro di Tobìa
In quei giorni, con l’animo affranto dal dolore, sospirai e piansi. Poi iniziai questa preghiera di lamento: «Tu sei giusto, Signore, e giuste sono tutte le tue opere. Ogni tua via è misericordia e verità. Tu sei il giudice del mondo. Ora, Signore, ricòrdati di me e guardami. Non punirmi per i miei peccati e per gli errori miei e dei miei padri. Violando i tuoi comandamenti, abbiamo peccato davanti a te. Ci hai consegnato al saccheggio; ci hai abbandonato alla prigionia, alla morte e ad essere la favola, lo scherno, il disprezzo di tutte le genti, tra le quali ci hai dispersi. Ora, quando mi tratti secondo le colpe mie e dei miei padri, veri sono tutti i tuoi giudizi, perché non abbiamo osservato i tuoi comandamenti, camminando davanti a te nella verità. Agisci pure ora come meglio ti piace; da’ ordine che venga presa la mia vita, in modo che io sia tolto dalla terra e divenga terra, poiché per me è preferibile la morte alla vita. Gli insulti bugiardi che mi tocca sentire destano in me grande dolore. Signore, comanda che sia liberato da questa prova; fa’ che io parta verso la dimora eterna. Signore, non distogliere da me il tuo volto. Per me infatti è meglio morire che vedermi davanti questa grande angoscia, e così non sentirmi più insultare!».
Nello stesso giorno a Sara, figlia di Raguèle, abitante di Ecbàtana, nella Media, capitò di sentirsi insultare da parte di una serva di suo padre, poiché lei era stata data in moglie a sette uomini, ma Asmodèo, il cattivo demonio, glieli aveva uccisi, prima che potessero unirsi con lei come si fa con le mogli. A lei appunto disse la serva: «Sei proprio tu che uccidi i tuoi mariti. Ecco, sei già stata data a sette mariti e neppure di uno hai potuto portare il nome. Perché vorresti colpire noi, se i tuoi mariti sono morti? Vattene con loro e che da te non dobbiamo mai vedere né figlio né figlia». In quel giorno dunque ella soffrì molto, pianse e salì nella stanza del padre con l’intenzione di impiccarsi. Ma, tornando a riflettere, pensava: «Che non insultino mio padre e non gli dicano: “La sola figlia che avevi, a te assai cara, si è impiccata per le sue sventure”. Così farei precipitare con angoscia la vecchiaia di mio padre negli inferi. Meglio per me che non mi impicchi, ma supplichi il Signore di farmi morire per non sentire più insulti nella mia vita». In quel momento stese le mani verso la finestra e pregò: «Benedetto sei tu, Dio misericordioso, e benedetto è il tuo nome nei secoli».
In quel medesimo momento la preghiera di ambedue fu accolta davanti alla gloria di Dio e fu mandato Raffaele a guarire tutti e due: a togliere le macchie bianche dagli occhi di Tobi, perché con gli occhi vedesse la luce di Dio, e a dare Sara, figlia di Raguèle, in sposa a Tobìa, figlio di Tobi, e così scacciare da lei il cattivo demonio Asmodèo.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 24 
A te, Signore, elevo l’anima mia.

Mio Dio, in te confido:
che io non resti deluso!
Non trionfino su di me i miei nemici!
Chiunque in te spera non resti deluso.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltĂ  e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontĂ , Signore.

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via. 

Canto al Vangelo   Gv 11,25
Alleluia, alleluia.

Io sono la risurrezione e la vita, dice il Signore;
chiunque crede in me non morirĂ  in eterno.
Alleluia.

VangeloMc 12, 18-27
Non è Dio dei morti, ma dei viventi.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, vennero da Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo egualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».