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Catechesi sulle Fonti Francescane 11-2-14

Dalle Fonti Francescane

Vita Seconda del Beato Tommaso da Celano

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CAPITOLO XII

L’AMORE DEL SANTO

E DELLA BEATA VERGINE PER QUESTO LUOGO.

COME I FRATI Vl ABITAVANO

18. Il servo di Dio, Francesco, piccolo di statura, umile di spirito e minore di professione, mentre viveva qui sulla terra scelse per sé e per i suoi una piccola porzione di mondo: altrimenti, senza usare nulla di questo mondo, non avrebbe potuto servire Cristo. E furono di certo ispirati da Dio quelli che, anticamente, chiamarono Porziuncola il luogo che toccò in sorte a coloro che non volevano assolutamente possedere nulla su questa terra.

Sorgeva in questo luogo una chiesa dedicata alla Vergine Madre, che, per la sua particolare umiltà,. meritò, dopo il Figlio, di essere Sovrana di tutti i Santi. Qui ebbe inizio l’Ordine dei minori, e s’innalzò ampia e armoniosa, come poggiata su fondamento solido, la loro nobile costruzione Il Santo amò questo luogo più di ogni altro, e comandò ai frati di venerarlo con particolare devozione. Volle che fosse sempre custodito come specchio dell’Ordine in umiltà e altissima povertà, riservandone ad altri la proprietà e ritenendone per sé ed i suoi soltanto l’uso.

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19. Vi era osservata in tutto una rigidissima disciplina: nel silenzio e nel lavoro, come pure in tutti gli altri ordinamenti della vita regolare. Nessun frate poteva entrarvi liberamente, se non quelli espressamente incaricati: raccolti qui da ogni parte, il Santo li voleva esempio di devozione a Dio e perfetti in tutto. Era assolutamente vietato l’accesso ad ogni secolare. Non voleva che i frati che qui abitavano–in numero ristretto–fossero solleticati dal prurito di notizie mondane e, interrompendo la contemplazione dei beni celesti, fossero trascinati dai cicaloni ad occuparsi delle cose terrene. Non era permesso ad alcuno dire, in questo luogo, parole oziose, né riferire quelle dette da altri. Se uno, a volte, mancava in questo, veniva messo in guardia a non ripeterlo mai più da un castigo salutare. I frati che vi dimoravano, erano impegnati giorno e notte nelle lodi divine, e conducevano una vita angelica, fragrante di soave odore.

E giustamente. Perché il luogo, a detta degli antichi abitanti, era chiamato, con altro nome, Santa Maria degli Angeli. Il Padre diceva di sapere per divina rivelazione che la beata Vergine, fra tutte le chiese innalzate a suo onore, amava quella con particolare predilezione; e perciò il Santo la preferiva a tutte le altre.

CAPITOLO XIII

UNA VISIONE

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20. Un santo frate, prima della sua conversione, aveva avuto, a proposito di Santa Maria degli Angeli una visione degna di essere riferita. Stava osservando innumerevoli uomini, che con gli occhi dolorosamente spenti e la faccia rivolta al cielo, erano inginocchiati attorno alla detta chiesa. Tutti, con voce di pianto e le mani protese in alto, gridavano a Dio, chiedendo luce e misericordia. Ed ecco, scese dal cielo uno splendore, che irradiandosi su tutti, donò a ciascuno la luce e la salvezza desiderata.

TENORE DI VITA DI SAN FRANCESCO E DEI FRATI

CAPITOLO XIV

IL RIGORE DELLA DISCIPLINA

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21. Il coraggioso soldato di Cristo non aveva mai alcun riguardo per il suo corpo e lo esponeva, come non suo, a tutte le asprezze sia di fatti che di parole. Chi volesse enumerare ciò che ha patito, supererebbe l’elenco dello scritto apostolico, nel quale vengono narrate le sofferenze dei Santi. E, allo stesso modo, anche i suoi primi discepoli, senza eccezione, si sottoponevano a tutti i disagi, cosi da ritenere addirittura peccato l’aspirare ad altro che alle consolazioni spirituali. Indossavano, come fosse un vestito, corsaletti e cinture di ferro, e sarebbero venuti meno, spossati dalle veglie e dai lunghi digiuni, se non avessero attenuato tanto rigore dietro assiduo ammonimento dell’accorto pastore.

CAPITOLO XV

DISCREZIONE DI SAN FRANCESCO

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22. Una notte, una di quelle pecorelle, mentre le altre dormivano, si mise a gridare: “Muoio, fratelli, ecco, muoio di fame!”. Il saggio pastore si alzò immediatamente e si affrettò a portare l’aiuto opportuno alla pecorella infermiccia. Ordinò di preparare la mensa, anche se con cibi alla buona, dove l’acqua, come il più delle volte, suppliva alla mancanza di vino. Proprio lui cominciò a mangiare per primo ed invitò a quel dovere di carità gli altri frati, perché il poverino non avesse ad arrossire.

Preso il cibo col timore del Signore, affinché fosse completo l’atto di carità, il Padre tenne ai figli un lungo discorso sulla virtù della discrezione. Prescrisse di offrire sempre a Dio un sacrificio condito di prudenza, ammonendoli accortamente di tener conto, nel servizio divino, delle proprie forze. Perché, diceva, è come peccare il sottrarre senza discrezione al corpo il necessario, come pure dargli il superfluo, sotto la spinta della gola. Poi soggiunse: “Carissimi, ciò che ho fatto mangiando, sappiate che è stato fatto non per bramosia, ma per doverosa attenzione e perché me lo ha imposto la carità fraterna. La carità vi sia di esempio, non il cibo, perché questo soddisfa la gola, quella invece lo spirito”.

CAPITOLO XVI

LA SUA CONOSCENZA DEL FUTURO

E COME AFFIDÒ L’ ORDINE ALLA CHIESA ROMANA.

UNA VISIONE

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23. Il padre santo progrediva continuamente in meriti e virtù. E poiché la sua prole cresceva ovunque in numero e grazia ed estendeva sino ai confini della terra i suoi tralci, ricchi a meraviglia di frutti ubertosi, cominciò a riflettere sempre più spesso, preoccupato come la giovane pianta potesse conservarsi e crescere stretta nel vincolo della unità.

Vedeva, già allora, che molti, come lupi, infierivano contro il piccolo gregge,–vecchi incalliti nel male–, spinti a nuocere unicamente dalla novità.

Prevedeva pure che tra gli stessi figli potevano sorgere difficoltà a danno della pace e dell’unità, e lo turbava il pensiero che, come spesso avviene tra gli eletti, vi sarebbero stati alcuni inorgogliti nella loro mentalità carnale, pronti alle contese e facili allo scandalo.

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24. Mentre rivolgeva questi e simili pensieri nella sua mente, una notte, nel sonno, ebbe questa visione. Vide una gallina piccola e nera, simile ad una colomba domestica, con zampe e piedi rivestiti di piume. Aveva moltissimi pulcini, che per quanto si aggirassero attorno a lei, non riuscivano a raccogliersi tutti sotto le sue ali. Quando si svegliò, l’uomo di Dio, e riprese i suoi pensieri, spiegò personalmente la visione. ” La gallina, commentò, sono io, piccolo di statura e di carnagione scura, e debbo unire alla innocenza della vita una semplicità di colomba: virtù, che quanto è più rara nel mondo, tanto più speditamente si alza al cielo. I pulcini sono i frati, cresciuti in numero e grazia, che la forza di Francesco non riesce a proteggere dal turbamento degli uomini e dagli attacchi delle lingue maligne “.

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“Andrò dunque, e li raccomanderò alla santa Chiesa Romana: in tale modo i malevoli saranno colpiti dalla verga della sua potenza e i figli di Dio, ovunque, godranno di piena libertà, a maggior beneficio della salvezza eterna. Da questo i figli riconosceranno le tenere premure della madre e ne seguiranno, con particolare devozione, le orme venerande.. La sua protezione difenderà l’Ordine dagli attacchi dei maligni, e il figlio di Belial non passerà impunemente per la vigna del Signore. Persino lei, che è santa, emulerà la gloria della nostra povertà e non permetterà che il torbido della superbia possa offuscare i grandi pregi dell’umiltà. Conserverà illesi tra di noi i vincoli della carità e della pace, colpendo con rigore e severità chi è causa di discordia.

Alla sua presenza fiorirà sempre la santa osservanza della purezza evangelica e non consentirà che svanisca neppure per un istante il buon odore della vita”.

Fu questa la vera e unica intenzione che ebbe il Santo nel volere tale raccomandazione, e questi gli argomenti santissimi della prescienza dell’uomo di Dio riguardo alla necessità di affidarsi alla Chiesa per il tempo futuro.

CAPITOLO XVII

CHIEDE IL SIGNORE D’ OSTIA COME SOSTITUTO DEL PAPA

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25. Si portò dunque a Roma, dove il signor papa Onorio e tutti i Cardinali lo accolsero con grande devozione. Ed a ragione, perché si ripercuoteva visibilmente nella sua vita e nelle parole il profumo della sua fama, e non era quindi possibile non venerarlo. Predicò davanti al Papa ed ai Cardinali con animo franco e pieno di ardore, attingendo dalla pienezza del cuore, come gli suggeriva lo Spirito. Alla sua parola si commossero quelle altezze e, traendo profondi sospiri dall’intimo, lavarono con lacrime l’uomo interiore.

Terminato il discorso e dopo qualche istante di cordiale colloquio col Papa, alla fine così espose la sua richiesta: “Non è facile, Signore, come sapete, per gente povera e umile avere accesso a così grande maestà. Avete nelle mani il mondo e gli impegni molto importanti non permettono di dedicarsi alle minuzie. Per questo, Signore,–continuò –chiedo al tenerissimo affetto di vostra Santità di concederci come papa il Signore d’Ostia, qui presente; così, rimanendo sempre intatta la dignità della vostra preminenza, i frati potranno rivolgersi a lui in tempo di necessità, ed essere, con vantaggio, difesi e governati”.

Il Papa gradì una richiesta tanto santa, e subito prepose all’Ordine, secondo la domanda dell’uomo di Dio, il Signor Ugolino, allora vescovo d’Ostia. Il santo cardinale accettò con amore il gregge, che gli era stato affidato, lo allevò premurosamente, e ne fu insieme pastore ed alunno sino alla beata fine.

È a questa particolare sottomissione che si deve la prerogativa di amore e la sollecitudine, che, da sempre, la Chiesa Romana non cessa di testimoniare all’Ordine dei minori.

Dalla Leggenda Maggiore di San Bonaventura, cap. IV, 9

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9. Intanto crescevano, nei piccolini di Cristo, le virtù e i meriti, diffondendo tutt’intorno il profumo della loro buona fama. Perciò molti accorrevano dalle varie parti del mondo, nel desiderio di vedere di persona il padre santo .

Fra gli altri, un estroso compositore di canzoni secolaresche, che era stato incoronato poeta dall’imperatore e da allora veniva chiamato re dei versi si propose di recarsi dall’uomo di Dio, così noto per il suo disprezzo degli onori mondani.

Lo trovò nel castello di San Severino, mentre predicava in un monastero; e allora la mano di Dio venne su di Iui mostrandogli in visione quel medesimo Francesco, che stava predicando sulla croce di Cristo, segnato da due spade splendentissime, disposte in forma di croce: una delle spade si estendeva dalla testa ai piedi e una da una mano alI’altra, attraverso il petto.

Egli non conosceva di faccia il servo di Cristo, ma lo riconobbe immediatamente, quando gli fu indicato da un così grande prodigio.

Stupefatto per quella visione, si propose subito di intraprendere una vita migliore e, infine, convertito dalla forza delle sue parole e come trafitto dalla spada dello spirito che usciva dalla sua bocca, si unì al beato padre mediante la professione, rinunciando totalmente agli onori vani del mondo.

Il Santo, vedendo che si era perfettamente convertito dall’inquietudine del mondo alla pace di Cristo, lo chiamò frate Pacifico.

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Frate Pacifico successivamente si perfezionò in ogni forma di santità e, prima di diventare ministro in Francia — difatti egli fu il primo ad avere l’ufficio di ministro dei frati in quel paese — meritò di vedere una seconda volta sulla fronte di Francesco un grande Tau, che illuminava e abbelliva meravigliosamente la sua faccia con singolare varietà di colori.

E in realtà il Santo nutriva grande venerazione ed affetto per il segno del Tau; lo raccomandava spesso nel parlare e lo scriveva di propria mano sotto le lettere che inviava, come se la sua missione consistesse, secondo il detto del profeta, nel segnare il Tau sulla fronte degli uomini che gemono e piangono, convertendosi sinceramente a Cristo.

Poesia dal Ritratto Francescano

Era Pacifico di nome, ma di fatto non ancora. Famoso come poeta, ambito amico di dotti e letterati, incantava tutti in verseggiare e declamare, ma in fondo non incantava se stesso. L’incontro con Francesco, le parole che da lui udì, le misteriose spade di luce che su di lui vide, lo guidarono al passo giusto. E quale eccellente giullare, dietro il più grande poeta Francesco, non cantò, ma visse la poesia di madonna povertà.

FRATE PACIFICO
Incoronato dall’Imperatore,
sul Campidoglio, quale Re dei Versi,
presso le corti e nei consessi d’arte,
era famoso e molto ricercato.

Nel poetare tanto raffinato,
suoi preferiti temi da toccare:
la femminile grazia e la bellezza;
del cavalier la forza e l’onestà.

Ma, per piacere a corte ed ai potenti,
il verso destreggiava pur con arte
a dir le laute mense e i buoni vini,
ed esaltare il cuor degli antenati.

Ma declamare amava più le gesta
dei condottieri antichi e celebrati
dell’epopea classica di Grecia
e dei supremi duci ch’ebbe Roma.

Era il suo dire tanto vivo e forte,
ch’avresti detto lui l’eroe stesso.
Ma non bastò la fama né l’onore
a metter pace nell’inquieto cuore.

San Severino fu per lui la pace.
Mentre parlavo al popolo, egli vide
due luminose spade, a mo’ di croce,
passar da parte a parte il petto mio.

Mi si prostrò davanti supplicando:
“Frate Francesco, fammi uno dei tuoi”.
Io l’abbracciai. Poi sulla fronte mia
vide il Thau. E da quell’ora ha Dio nel cuore