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Catechesi sulle Fonti Francescane 11-3-14

Dalla Vita Seconda di Tommaso Da Celano

 

CAPITOLO XVII

CHIEDE IL SIGNORE D’ OSTIA COME SOSTITUTO DEL PAPA

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25. Si portò dunque a Roma, dove il signor papa Onorio e tutti i Cardinali lo accolsero con grande devozione. Ed a ragione, perché si ripercuoteva visibilmente nella sua vita e nelle parole il profumo della sua fama, e non era quindi possibile non venerarlo. Predicò davanti al Papa ed ai Cardinali con animo franco e pieno di ardore, attingendo dalla pienezza del cuore, come gli suggeriva lo Spirito. Alla sua parola si commossero quelle altezze e, traendo profondi sospiri dall’intimo, lavarono con lacrime l’uomo interiore.

Terminato il discorso e dopo qualche istante di cordiale colloquio col Papa, alla fine così espose la sua richiesta: “Non è facile, Signore, come sapete, per gente povera e umile avere accesso a così grande maestà. Avete nelle mani il mondo e gli impegni molto importanti non permettono di dedicarsi alle minuzie. Per questo, Signore,–continuò –chiedo al tenerissimo affetto di vostra Santità di concederci come papa il Signore d’Ostia, qui presente; così, rimanendo sempre intatta la dignità della vostra preminenza, i frati potranno rivolgersi a lui in tempo di necessità, ed essere, con vantaggio, difesi e governati”.

Il Papa gradì una richiesta tanto santa, e subito prepose all’Ordine, secondo la domanda dell’uomo di Dio, il Signor Ugolino, allora vescovo d’Ostia. Il santo cardinale accettò con amore il gregge, che gli era stato affidato, lo allevò premurosamente, e ne fu insieme pastore ed alunno sino alla beata fine.

È a questa particolare sottomissione che si deve la prerogativa di amore e la sollecitudine, che, da sempre, la Chiesa Romana non cessa di testimoniare all’Ordine dei minori.

Fine della Parte prima

 

PARTE SECONDA

 

Introduzione

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26.Tramandare le azioni gloriose degli antenati è segno d’onore verso di loro, ma è anche una prova di amore per i figli, che non li hanno conosciuti personalmente. Dal ricordo delle loro gesta sono indotti al bene e convinti a migliorarsi, mentre testimonianze indimenticabili rendono vivi ai loro occhi i padri ormai lontani nel tempo. Ne possiamo trarre anzitutto–frutto certamente non piccolo–la coscienza della nostra pochezza, quando mettiamo a confronto l’abbondanza dei loro meriti e la nostra miseria.

Ora io ritengo che Francesco sia stato come uno specchio santissimo della santità del Signore e immagine della sua perfezione. Tutte le sue parole ed azioni hanno per così dire, un profumo divino. Chi le esamina con diligenza e le segue umilmente, raggiunge ben presto a questa scuola di saggezza la sua altissima sapienza. Per questo motivo, dopo avere premesso, anche se con stile dimesso e quasi di corsa, alcuni episodi riguardanti la sua persona, ritengo non superfluo aggiungere fra tanti qualche altro cenno, per esaltare il Santo e risvegliare il nostro amore intorpidito.

 

LO SPIRITO DI PROFEZIA DEL BEATO FRANCESCO

 

CAPITOLO I

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27. Il beato padre, come elevato al di sopra delle cose terrene, aveva assoggettato con potere meraviglioso tutto quanto esiste nel mondo. Tenendo fisso sempre l’occhio della intelligenza in quella somma luce, non solo conosceva per divina rivelazione ciò che doveva fare, ma prevedeva profeticamente molti fatti, penetrava i segreti dei cuori, conosceva ciò che avveniva lontano, prevedeva e narrava in anticipo il futuro. Alcuni esempi comprovano quanto affermiamo.

 

CAPITOLO II

SMASCHERA UN FRATE RITENUTO SANTO

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28. Vi era un frate, all’apparenza di grande santità e di vita integerrima però molto singolare. Si dedicava continuamente alla preghiera, ed osservava con tanto rigore il silenzio che di solito si confessava non a voce, ma con gesti. Si infiammava alle parole della Scrittura e, dopo l’ascolto, dava segni di una meravigliosa dolcezza interiore. In breve, era stimato da tutti tre volte santo. Or avvenne che il beato padre un giorno si recò in quel luogo, vide il fratello e ascoltò quelli che lo proclamavano santo. E mentre tutti lo magnificavano ed esaltavano: “Basta, fratelli! — esclamò –. Non state a lodarmi delle finzioni diaboliche. Sappiate con certezza che è tentazione del demonio e perfido inganno. Ne sono certo e la prova più sicura è che non vuole confessarsi “.

I frati rimasero costernati e particolarmente il vicario del Santo. “E come, andavano ripetendo, può essere che sotto tanti segni di perfezione vi sia una tale mistificazione?”. E il Padre di rimando: “Comandategli di confessarsi due o almeno una volta la settimana: se non lo farà, sappiate che ho detto il vero”.

Il vicario lo prese in disparte, dapprima scambiò con lui cordiali e liete parole e finalmente gli ordinò di confessarsi. Ma quegli rifiutò con sdegno, e ponendosi un dito sulla bocca fece capire col cenno del capo che in nessun modo si sarebbe confessato. I frati ammutolirono, temendo lo scandalo del falso santo. Poco tempo dopo uscì spontaneamente dall’Ordine, ritornò alla vita mondana ed al suo vomito, e infine, dopo innumerevoli peccati, morì senza pentimento.

Si deve sempre evitare la singolarità: non è altro che un bel precipizio. Lo dimostra chiaramente il caso di tanti, amanti della singolarità, che si innalzano al cielo e scendono in fondo all’abisso. Considera inoltre il valore di una confessione sincera, che non solo è fonte ma anche espressione di santità.

 

CAPITOLO III

CASO SIMILE CONTRO LA SINGOLARITÀ

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29. Un fatto simile avvenne ad un altro frate, Tommaso da Spoleto. Tutti credevano fermamente e giuravano che fosse santo, ma il santo padre lo riteneva un uomo perverso; l’apostasia dimostrò alla fine la verità del suo giudizio. Non durò a lungo, perché non resiste molto una virtù basata sulla frode. Uscì dall’Ordine ed è morto fuori di esso: ora si è accorto della sua riprovevole condotta.

 

CAPITOLO IV

PREVEDE LA DISFATTA DEI CRISTIANI PRESSO DAMIATA

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30. Al tempo in cui l’esercito cristiano stringeva d’assedio Damiata, era presente anche il Santo con alcuni compagni: avevano attraversato il mare desiderosi del martirio.

Un giorno avuta notizia che i nostri si disponevano a battaglia, si addolorò fortemente e rivolto al compagno disse: “Il Signore mi ha mostrato che, se avverrà oggi lo scontro, andrà male per i cristiani. Ma se dico questo, sarò creduto pazzo; se taccio, mi rimorde la coscienza. Cosa ne pensi? “. “Padre,–rispose il compagno–, non dare importanza al giudizio degli uomini; del resto non sarebbe la prima volta oggi che sei giudicato pazzo. Libera la tua coscienza e abbi timore di Dio piuttosto che degli uomini“.

Allora il Santo balza fuori e per il loro bene scongiura i cristiani a non dar battaglia, e minaccia la disfatta. Ma essi presero a scherzo ciò che era verità, indurirono il loro cuore e rifiutarono ogni avvertimento. Si avanza, si attacca, si combatte e si passa al contrattacco da parte dei nemici. Durante la battaglia il Santo con l’animo sospeso invita il compagno ad alzarsi e ad osservare; e poiché non vede nulla una prima ed una seconda volta, glielo ordina per la terza volta. Ed ecco: tutto l’esercito cristiano è in fuga, mettendo fine alla guerra non col trionfo, ma con la vergogna. I nostri subirono tale disfatta da perdere seimila uomini tra morti e prigionieri.

Il Santo era vinto dalla compassione, né minore era il loro pentimento per l’accaduto. Soprattutto compiangeva gli Spagnoli, che vedeva ridotti a ben pochi a causa del loro maggiore slancio nel combattere.

Riflettano bene a ciò tutti i principi di questo mondo e sappiano che non è facile combattere contro Dio, cioè contro la volontà divina. L’ostinazione di solito porta a funesta rovina, perché confidando nelle proprie forze non merita l’aiuto celeste. Se infatti si deve sperare la vittoria dall’alto bisogna pure attaccare battaglia solo dietro ispirazione divina.

 

CAPITOLO V

SCOPRE I PENSIERI SEGRETI Dl UN FRATE

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31. Il Santo ritornava dai paesi d’Oltremare con un compagno, Leonardo d’Assisi. Sentendosi stanco morto dal viaggio, montò momentaneamente su un asino. Il compagno che seguiva a piedi e non era meno stanco, cominciò a borbottare tra sé, preso da un certo risentimento umano: “Non giocavano certo a pari e caffo i genitori di costui ed i miei. Ecco, lui va a cavallo ed io, a piedi, gli guido l’asino”.

Mentre rimuginava questi pensieri, il Santo balzò da cavallo: “No, non è giusto, fratello–gli dice–che io vada a cavallo e tu a piedi, perché nel mondo sei stato più nobile e importante di me “.

Il frate rimase di stucco e arrossì sentendosi scoperto dal Santo. Cadde ai suoi piedi: tra lacrime abbondanti gli espose tutto il suo pensiero e chiese perdono.

 

CAPITOLO VI

VEDE UN DIAVOLO SULLA SCHIENA Dl UN FRATE.

SUO ATTEGGIAMENTO CONTRO CHI SI ALLONTANA

DALL’ UNITÀ DEI FRATELLI

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32. Vi era un altro frate assai stimato dagli uomini, ma ancora più ricco di grazia presso Dio. Invidioso dei suoi meriti, il padre di ogni invidia pensò di tagliare alle radici l’albero, che sembrava ormai toccare il cielo e strappargli di mano la corona. Gli gira attorno, lo turba, scuote e vaglia le sue attitudini per trovare un inciampo adatto al frate. Gli immette così nell’animo il desiderio di isolarsi sotto pretesto di maggiore perfezione, affinché cada più facilmente quando gli piomberà addosso, e trovandosi solo non abbia chi lo sollevi nella caduta.

In breve, si stacca dalla vita religiosa dei fratelli, e se ne va per il mondo forestiero e pellegrino. Dall’abito che portava ricavò una piccola tonaca, col cappuccio non cucito, e così se ne andava errabondo, disprezzando in tutto se stesso. Ma mentre andava vagando in questo modo, presto vennero meno le consolazioni divine, ed egli si trovò agitato da tentazioni tempestose: le acque gli arrivavano sino al collo e, desolato nello spirito e nel corpo, era come un uccello che si precipita nella rete. Già come sull’orlo di una voragine, stava per precipitare nel baratro, quando la Provvidenza paternamente ebbe compassione di lui e rivolse il suo sguardo amoroso all’infelice. Ammaestrato dalla tribolazione, rientrò finalmente in se stesso e disse: “Ritorna, o misero, alla tua vita religiosa, perché lì è la tua salvezza “. E senza indugiare un istante, si alzò e si avviò in fretta al grembo materno.

33. Quando giunse a Siena, tra quei frati c’era anche Francesco. Ma –cosa incredibile! –appena il Santo lo scorse, si allontanò per rinchiudersi con passo frettoloso nella sua cella. I frati si domandavano turbati il motivo di tale comportamento. E il Santo disse loro: “Perché vi meravigliate della mia fuga, se non ne comprendete il motivo? Io ho fatto ricorso alla preghiera per salvare il fratello smarrito. Ho visto nel mio figlio qualcosa che molto giustamente mi dispiacque. Ma ormai per grazia del mio Cristo ogni inganno è svanito”.

Il frate si inginocchiò e con rossore confessò la sua colpa. Gli disse il Santo: “Ti perdoni il Signore; ma in futuro guardati di non separarti mai più, col pretesto della santificazione, dal tuo Ordine e dai fratelli”. Da quel giorno il frate prese ad amare l’Istituto e la fraternità, preferendo soprattutto quelle comunità in cui era in vigore maggiormente la regolare osservanza.

Oh, quali meraviglie compie il Signore nel consesso e nella comunità dei giusti! In essa chi è tentato trova aiuto chi cade viene rialzato, il tiepido viene stimolato. In essa il ferro si aguzza col ferro ed il fratello, con l’aiuto del fratello diviene saldo come una roccaforte. Inoltre, se è vero che la folla del mondo è di ostacolo a vedere Gesù, è anche certo che non lo impedisce affatto il coro celeste degli angeli. Soltanto non fuggire: sii fedele sino alla morte e riceverai la corona della vita.

 

ALTRO CASO SIMILE

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34. Qualche tempo dopo avvenne un fatto non molto diverso. Un altro frate non voleva ubbidire al vicario del Santo, ma seguiva come suo superiore un confratello. Il Santo, che era presente, lo ammonì per mezzo di una terza persona, ed egli si gettò ai piedi del vicario e, lasciato il maestro che si era scelto, promise obbedienza a colui che il Santo gli assegnò come superiore. Francesco trasse un profondo sospiro, e rivolto al compagno, che aveva mandato per avvisarlo: “Ho visto, fratello–gli disse–sul dorso del frate disobbediente un diavolo che lo stringeva al collo. Sottomesso e tenuto a briglia da un tale cavaliere, dopo aver scosso il morso dell’obbedienza, si lasciava guidare dalla sua volontà e capriccio. Ma quando ho pregato il Signore per lui, subito il demonio si è allontanato confuso”.

Tanto penetrante era lo sguardo di questo uomo, che pur avendo occhi deboli per le cose materiali, li aveva perspicaci per quanto riguarda lo spirito.

E quale meraviglia che venga oppresso da una ignobile soma chi rifiuta di portare il Signore della gloria? Non c’è, dico, altra scelta: o portare un peso leggero, dal quale piuttosto tu stesso sarai portato, oppure essere schiavo della iniquità, che ti aderisce al collo come una macina da asino, più pesante di una massa di piombo.

 

CAPITOLO VII

LIBERA GLI ABITANTI DI GRECCIO DAI LUPI E DALLA GRANDINE

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35. Il Santo si fermava volentieri nell’eremo di Greccio, sia perché lo vedeva ricco di povertà, sia perché da una celletta appartata, costruita sulla roccia prominente, poteva dedicarsi più liberamente alla contemplazione delle cose celesti. È proprio questo il luogo, dove qualche tempo prima aveva celebrato il Natale del Bambino di Betlemme, facendosi bambino col Bambino.

Ora, gli abitanti del luogo erano colpiti da diversi mali: torme di lupi rapaci attaccavano bestiame e uomini, e inoltre, la grandine stroncava ogni anno messi e viti. Un giorno Francesco, mentre predicava, disse: “A gloria e lode di Dio Onnipotente, ascoltate la verità che vi annunzio. Se ciascuno di voi confesserà i suoi peccati e farà degni frutti di penitenza, vi do la mia parola che questo flagello si allontanerà definitivamente ed il Signore, guardando a voi con amore, vi arricchirà di beni temporali. Ma — continuò — ascoltate anche questo: vi avverto pure che se, ingrati dei benefici, ritornerete al vomito, si risveglierà la piaga, raddoppierà la pena e la sua ira infierirà su di voi più crudelmente di prima “.

36 Da quel momento, per i meriti e le preghiere del padre santo, cessarono le calamità, svanirono i pericoli, e i lupi e la tempesta non recarono più molestia. Anzi, ciò che più meraviglia, quando la grandine batteva i campi dei vicini e si appressava al loro confine, o cessava lì o si dirigeva altrove.

Ma nella tranquillità crebbero di numero e si arricchirono troppo di beni materiali. Ed il benessere portò le conseguenze solite: affondarono il volto nel grasso e furono accecati dalla pinguedine o meglio dallo sterco della ricchezza. E così, ricaduti in colpe maggiori, si dimenticarono di Dio che li aveva salvati. Ma non impunemente, perché il giusto castigo del Signore colpisce meno severamente chi cade nel peccato una volta di chi è recidivo. Si risvegliò contro di essi il furore di Dio ed ai flagelli di prima si aggiunse la guerra e venne dal cielo una epidemia che fece innumerevoli vittime. Da ultimo, un incendio vendicatore distrusse tutto il borgo.

È ben giusto che chi volge la schiena ai benefici, vada in perdizione.

 

CAPITOLO VIII

MENTRE PREDICA AGLI ABITANTI Dl PERUGIA,

PREDICE LA GUERRA CIVILE. LODE DELLA CONCORDIA

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37. Alcuni giorni dopo il Padre scese dalla cella suddetta e rivolto ai frati presenti disse con voce di pianto: “I Perugini hanno arrecato molto danno ai loro vicini ed il loro cuore si è insuperbito, ma per loro ignominia. Perché si avvicina la vendetta di Dio e questi ha già in pugno la spada”. Attese alcuni giorni, poi in fervore di spirito si diresse verso Perugia. I frati poterono dedurre con tutta sicurezza che aveva avuto in cella una visione. Giunto a Perugia, cominciò a parlare al popolo che si era dato convegno. E poiché i cavalieri impedivano l’ascolto della parola di Dio, giostrando, secondo l’uso ed esibendosi in spettacoli d’arme, il Santo, molto addolorato, li apostrofò: “O uomini miseri e stolti, che non riflettete e non temete la punizione di Dio! Ma ascoltate ciò che il Signore vi annunzia per mezzo di questo poverello. Il Signore vi ha innalzati al di sopra di quanti abitano attorno, e per questo dovreste essere più benevoli verso il prossimo e più riconoscenti a Dio. E invece, ingrati per tanto beneficio, assalite con le armi in pugno i vicini, li uccidete e li saccheggiate. Ebbene, vi dico: non la passerete liscia! Il Signore a vostra maggiore punizione vi porterà a rovina con una guerra fratricida, che vedrà sollevarsi gli uni contro gli altri. Sarete istruiti dallo sdegno giacché nulla avete imparato dalla benevolenza”.

Poco tempo dopo scoppia la contesa: si impugnano le armi contro i vicini di casa, i popolani infieriscono contro i cavalieri e questi, a loro volta, contro il popolo: furono tali l’atrocità e la strage, che ne provarono compassione anche i confinanti, che pure erano stati danneggiati.

Castigo ben meritato! Si erano allontanati da Dio Uno e Sommo: era inevitabile che neppure tra loro rimanesse l’unità. Non vi può essere per uno Stato un legame più forte di un amore convinto a Dio, unito ad una fede sincera e senza ipocrisie.

Dalla Leggenda Perugina

PULIZIA DELLE CHIESE

1565 18. In altro tempo, quando Francesco abitava presso Santa Maria della Porziuncola, e i frati erano ancora pochi, andava talora per i villaggi e le chiese dei dintorni di Assisi, annunziando e predicando al popolo di fare penitenza E in questi suoi giri portava una scopa per pulire le chiese.
Molto soffriva Francesco nell’entrare in una chiesa e vederla sporca. Così, dopo aver predicato al popolo, faceva riunire in un posto fuori mano tutti i sacerdoti che si trovavano presenti, per non essere udito dalla gente. E parlava della salvezza delle anime, e specialmente inculcava loro di avere la massima cura nel mantenere pulite le chiese, gli altari e tutta la suppellettile che serve per la celebrazione dei divini misteri.

GIOVANNI IL SEMPLICE

1566 19. Un giorno Francesco si recò nella chiesa di una borgata del territorio di Assisi e si mise a fare le pulizie. Immediatamente si sparse nel villaggio la voce del suo arrivo, poiché quella gente lo vedeva e ascoltava volentieri .
Sentì la notizia anche un certo Giovanni, uomo di meravigliosa semplicità, che stava arando un suo campo vicino a quella chiesa. E subito andò da lui, e lo trovò intento a pulire.
Gli disse: « Fratello, da’ la scopa a me, voglio aiutarti ». Prese lui la scopa e finì di fare pulizia.
Poi si misero a sedere, e Giovanni prese a dire: « Da molto tempo ho intenzione di
servire a Dio, soprattutto da quando ho inteso parlare di te e dei tuoi fratelli. Ma non sapevo come unirmi a te. Ma dal momento che è piaciuto al Signore ch’io ti vedessi, sono disposto a fare tutto quello che ti piace ».
Osservando il fervore di lui, Francesco esultò nel Signore, anche perché allora aveva pochi fratelli e perché quelI’uomo, con la sua pura semplicità, gli dava affidamento che sarebbe un buon religioso. Gli rispose: « Fratello, se vuoi condividere la nostra vita e stare con noi, è necessario che tu doni ai poveri, secondo il consiglio del santo Vangelo tutti i beni che possiedi legittimamente. Così hanno fatto i miei fratelli cui è stato possibile ».
Sentendo ciò, subito Giovanni si diresse verso il campo dove aveva lasciato i buoi, li sciolse e ne portò uno davanti a Francesco, dicendogli: « Fratello, per tanti anni ho lavorato per mio padre e gli altri della famiglia. Sebbene questa parte della mia eredità sia scarsa, voglio prendere questo bue e darlo ai poveri nel modo che ti sembrerà più opportuno secondo Dio ».
Vedendo che voleva abbandonarli, i genitori, i fratelli che erano ancora piccoli, e tutti quelli di casa cominciarono a lacrimare e piangere forte. Francesco si sentì mosso a compassione, massime perché la famiglia era numerosa e senza risorse. Disse loro: «Preparate un pranzo, mangeremo insieme. E non piangete, poiché vi farò lieti ». Quelli si misero all’opera, e pranzarono tutti con molta allegria.
Finito il desinare, Francesco parlò: « Questo vostro figlio vuole servire a Dio. Non
dovete contristarvi di ciò, ma essere contenti. E un onore per voi, non solo davanti a Dio ma anche agli occhi della gente; e ne avrete vantaggio per l’anima e per il corpo. Di fatti, è uno del vostro sangue che dà onore a Dio, e d’ora innanzi tutti i nostri frati saranno vostri figli e fratelli. Una creatura di Dio si propone di servire al suo Creatore–ed essere suo servo vuol dire essere re,–voi capite quindi che non posso e non debbo ridarvi vostro figlio. Tuttavia, affinché riceviate da lui un po’ di conforto, io dispongo ch’egli rinunci per voi, che siete poveri alla proprietà di questo bue, benché secondo il consiglio dei santo Vangelo dovesse darlo agli altri poveri ».
Furono tutti confortati dal discorso di Francesco, e soprattutto furono felici che fosse loro reso il bue, poiché erano veramente poveri.
Francesco, cui piacque sempre la pura e santa semplicità in se stesso e negli altri, ebbe grande affetto per Giovanni. E appena lo ebbe vestito del saio, prese lui come suo compagno.
Era questi talmente semplice, che si riteneva obbligato a fare qualunque cosa facesse Francesco. Quando il Santo stava a pregare in una chiesa o in un luogo appartato, Giovanni voleva vederlo e fissarlo, per ripetere tutti i gesti di lui: se Francesco piegava le ginocchia, se alzava al cielo le mani giunte, se sputava o tossiva, anche lui faceva altrettanto.
Pur essendo incantato da tale semplicità di cuore, Francesco cominciò a rimproverarlo.
Ma Giovanni rispose: « Fratello, ho promesso di fare tutto quello che fai tu; e perciò intendo fare tutto quello che tu fai ». Il Santo era meravigliato e felice davanti a tanta purità e semplicità. Giovanni fece tali progressi in tutte le virtù, che Francesco e gli altri frati restavano stupefatti della sua santità.
E dopo non molto tempo egli morì in questa santa perfezione. Francesco, colmo di
letizia nell’intimo ed esteriormente, raccontava ai frati la vita di lui, e lo chiamava « san Giovanni » in luogo di « frate Giovanni >>.

 MIO TUTTO

Signore mio Gesù,

Tu sei la Verità,

che cerco più del sole;

e sei l’aperta via

che mi conduce al Padre.

Felice Tu mi rendi,

o luce dei miei occhi,

e quanto più ti trovo

io tanto più ti bramo,

o tutto del mio cuore.

E nel divin mistero,

col Corpo e Sangue tuo,

Tu puoi venire in me

per innestarmi a Te

nell’unità di vita.

Qual cibo e qual bevanda

nel cuore e nelle vene

la linfa tua m’infondi.

In novità d’amore

mi sveli i tuoi segreti.

Ministro m’hai voluto

di questo gran tesoro.

Mi scendi fra le mani,

t’appoggi sul mio cuore.

O mio Gesù t’adoro! (2v)