Messa quotidiana

Santa Messa 24-10-20

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BEATA EUGENIA RAVASCO

Famiglia e infanzia
Eugenia Ravasco nacque a Milano il 4 gennaio 1845, terza dei sei figli di Francesco Matteo Ravasco e Carolina Frasconi Mozzoni. Fu battezzata lo stesso giorno della nascita nella chiesa milanese di Santa Maria della Passione. La sua famiglia era nobile ed agiata: il padre era un banchiere, mentre la madre era una contessa; entrambi erano di sani principi cristiani.
Da bambina rimase orfana di madre, morta nel 1847 a 33 anni. Sconvolto dal dolore, che peggiorò con la morte della secondogenita Costanza, avvenuta poco dopo la scomparsa della madre, Francesco Ravasco decise di tornare nella sua città natale, Genova.
Tuttavia, portò con sé solo il figlio Ambrogio, di nove anni maggiore di Eugenia, ed Elisa, l’ultima nata, di appena un anno e mezzo. Per la sua salute malferma, Eugenia rimase a Milano, venendo affidata alla zia Marietta Anselmi. Fu amata da lei, che non aveva avuto figli propri, con affetto realmente materno. Compì la sua istruzione iniziale sotto la guida di precettori privati.

A Genova, dallo zio Luigi
Nel 1852 fu invitata dallo zio Luigi, fratello del padre, a raggiungerlo a Genova: papà Francesco non si era liberato dalla sua crisi, anche perché Ambrogio gli dava molte preoccupazioni a causa della sua condotta dissipata. Eugenia soffrì molto per il distacco dalla zia, tanto da ammalarsi. Il suo arrivo non portò a un miglioramento: il padre morì il 20 marzo 1855.
Eugenia fu quindi presa sotto la tutela dello zio Luigi e della moglie di lui, Elisa Parodi, che a loro volta avevano dieci figli: da loro assimilò un grande amore per i poveri. Si affezionò in maniera speciale a sua sorella Elisa: con lei stabilì anche una sintonia profonda sul piano spirituale.
Il 21 giugno 1855, nella Chiesa di Sant’Ambrogio (oggi del Gesù) a Genova, Eugenia ricevette la Prima Comunione e la Cresima da monsignor Charvaz, arcivescovo di Genova. Si era preparata sotto la guida del canonico Salvatore Magnasco, poi vicario generale della diocesi di Genova, che divenne il suo direttore spirituale.

Sotto un’istitutrice severa
Le due sorelle rimasero dagli zii finché lo zio Luigi non diede loro un appartamento separato, dove vissero con un’istitutrice, la signora Marianna Serra vedova Tanlongo. Eugenia era più vivace della sorella minore, quindi faticò parecchio per sottostare agli ordini dell’istitutrice.
Il fratello Ambrogio, invece, era stato affidato a un uomo di fiducia dello zio, ma costui non lo teneva affatto sotto controllo. Eugenia provò più volte ad avvertire il fratello e fu perfino minacciata di morte da lui, armato di rivoltella.

Erede, ma non felice
Nel dicembre 1862 morì lo zio Luigi: Eugenia divenne quindi erede di un ingente patrimonio. Con accortezza seppe liberarsi dalle mire dell’amministratore che stava portando Ambrogio verso il tracollo finanziario, diventando di fatto padrona di casa. Il nuovo tutore suo e dei fratelli divenne il marchese Bartolomeo Cataldi, che lei conosceva bene.
Eugenia cercava di essere forte, ma rischiava di seguire lo stesso cammino del padre. A salvarla furono due persone: una cugina, Damaride Parodi, che l’invitò a pregare e ad affidarsi alla Madonna, e il canonico Magnasco, il quale l’avviò al volontariato nell’ospedale di Pammatone tra le Dame di Carità di Santa Caterina in Portoria, perché familiarizzasse col mondo della sofferenza fisica.

Un fidanzamento per convenienza
La zia Marietta, che si era trasferita a Genova per aiutarla, sognava per Eugenia una sistemazione conveniente al suo rango. Durante le vacanze nella località di Murta, la ragazza aveva conosciuto il marchese De Ferrari, un ricco proprietario terriero: la zia riuscì a combinare il fidanzamento.
Tuttavia, appena intuì che quello sarebbe stato un matrimonio d’interesse, Eugenia troncò la relazione. Dentro di sé, infatti, si chiedeva da tempo se Dio non avesse altro in serbo per lei.

L’intuizione del 31 maggio 1863
La sera del 31 maggio 1863, Eugenia stava tornando a casa insieme alla sua dama di compagnia, Carla Serra, quando passò per la chiesa di Santa Sabina. Benché stanca, pensò di entrare per una visita a Gesù nel Tabernacolo.
Proprio in quel momento, un sacerdote, don Giacinto Bianchi (Venerabile dal 2008), domandava ai fedeli riuniti in chiesa: «Non c’è proprio nessuno tra voi che si voglia dedicare al bene per amore del Cuore di Gesù?».
Convinta che Dio parlasse attraverso quel sacerdote, Eugenia cadde in ginocchio e, tra le lacrime, pregò: «O Gesù, se io devo essere quest’a¬nima scelta da voi per fare questo bene, insegnatemi il modo, datemene l’opportunità; prendetemi per ma¬no, mandatemi qualcuno a picchiare alla mia porta».

Catechista
Circa quindici giorni dopo, qualcuno bussò alla porta del suo appartamento: erano due ragazze, Adele Molinari e Maria Ferro. Una di loro aveva visto Eugenia pregare e piangere a lungo nella chiesa di santa Sabina, anche dopo la fine della predica di padre Bianchi.
Le ragazze, appartenenti alla Pia Unione delle Figlie di Santa Maria Immacolata, fondata dal parroco di Santa Sabina don Giuseppe Frassinetti (Venerabile dal 1991), volevano proporle di aiutarle a insegnare il catechismo presso la chiesa del Carmine. Eugenia fece una novena, poi acconsentì, a costo di scontrarsi col parere avverso di zia Marietta.
Gli inizi non furono facili: almeno una volta, Eugenia fu sul punto di lasciar perdere, ma Adele le ricordò che a Gesù non sempre andava tutto bene. Da allora s’impegnò ancora di più: il risultato fu che le ragazze accorrevano sempre più numerose alle attività di svago e di preghiera organizzate da lei.

Un’opera a sé
Adele pensava che l’opera catechistica di Eugenia dovesse rientrare in quella di don Frassinetti. Lei chiese quindi consiglio al canonico Magnasco: «Aprite voi una casa, e sarete indipendente nel fare tutto il bene che volete», fu la sua replica.
Di conseguenza, Eugenia rinunciò alla fusione e aprì la porta di casa sua alle giovani che volessero frequentarla per incontri di preghiera, conversazioni religiose e letture spirituali: chiamò l’opera «Associazione per il bene». A lei e ad Adele Molinari si aggregarono poi Carla Serra e Luigia Scionico.
Il 6 dicembre 1868 monsignor Magnasco, dopo aver preparato le quattro giovani con un corso di Esercizi spirituali, accolse il loro proposito di «fare il bene» specialmente alla gioventù e consegnò loro un abito grigio-violaceo con collo bianco, completato dal velo tipico delle dame genovesi.

Le prime iniziative
Oltre all’opera catechistica al Carmine, Eugenia impiantò un laboratorio di ricamo, cucito e confezione di fiori artificiali, per allontanare le ragazze dalla strada. Si occupò anche di seguire la Congregazione del Catechismo di Perseveranza per signore borghesi, alla quale fu indirizzata da monsignor Magnasco.
Intanto la vecchia casa di via del Canneto non bastava più a contenere le frequentanti, così l’opera dovette traslocare. Fu acquistata una villa, appartenuta ai marchesi Gropallo, situata sul colle Carignano: divenne ben presto un centro di animazione culturale e spirituale, con attività per tutti i ceti sociali, anche se riservate alle donne.

La scuola magistrale e gli ostacoli da parte anticlericale
Progressivamente, Eugenia rimase convinta della necessità di formare pienamente le bambine e le ragazze. Decise quindi di istituire una scuola elementare gratuita, ma servivano maestre diplomate: l’arrivo di Maria Lavarello e di altre due maestre, Isabella e Zita, le concesse di attuare il progetto.
Perché le allieve interne e le sue collaboratrici fossero debitamente preparate, inaugurò anche una scuola normale, ossia una scuola per ottenere il diploma di maestra; in seguito allargò la frequenza anche ad allieve esterne.
Tuttavia, la stampa anticlericale iniziò a criticare pesantemente le scuole di Eugenia, proprio quando lei aveva iniziato le pratiche per ottenere il loro riconoscimento legale. Tentò in ogni modo di difendere la libertà delle sue realizzazioni, appellandosi al Ministro della Pubblica Istruzione e incontrandolo personalmente, ma non riuscì nel suo intento; dovette quindi ridurre il numero delle allieve e far andare avanti la scuola come istituto privato non parificato.

Il riconoscimento diocesano

Nel frattempo, in collaborazione col gesuita padre Luigi Pertoglio, Eugenia procedette alla stesura delle Regole per sé e per le sue compagne. Stabilì anche il nome della loro famiglia religiosa: Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria.
Quasi a consolarla delle prove subite riguardo alla questione della scuola magistrale, il 12 gennaio 1882 le arrivò una notizia lieta: monsignor Magnasco, diventato arcivescovo di Genova nel 1871, riconosceva ufficialmente la sua istituzione. Così, il 14 ottobre 1884, le prime suore ed Eugenia, ormai Madre fondatrice, professarono i voti religiosi nella cappella di Villa Gropallo, diventata Casa madre della Congregazione.

La congregazione si espande

La buona fama delle Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria varcò i confini regionali. La prima casa fuori dalla Liguria era stata fondata nel 1880 a Resina, oggi Ercolano, in provincia di Napoli. Seguirono quelle di Levanto, Corcía¬go, Colazza, Levo e San Maurizio e Ronco di Ghiffa, sul Lago Maggiore. Nel 1899, poi, madre Eugenia iniziò le pratiche per una fondazione a Roma.
Nonostante la sua salute, mai stata florida, avesse iniziato a darle qualche fastidio in più, viaggiò all’estero e in Italia, per informarsi su come funzionassero le migliori istituzioni educative. Ricevette le maggiori influenze, anche per quanto riguarda il suo sistema educativo, dai Fratelli delle Scuole Cristiane, fondati da san Giovanni Battista de La Salle, ma anche dai Salesiani: conobbe personalmente san Giovanni Bosco, loro fondatore, e intrattenne con lui una fitta corrispondenza.

Lo stile di madre Eugenia
Il carattere espansivo che madre Eugenia aveva avuto nell’infanzia aveva lasciato il posto, anche a causa di quanto aveva vissuto, a un piglio deciso e non poco autoritario. Era il suo modo di seguire con attenzione le varie case che si aprivano e la formazione delle nuove suore. «Dio solo» era il suo motto: intendeva mettere Dio al primo posto e insegnava a farlo anche alle sue figlie spirituali.
Alle allieve raccomandava, comunque, di restare santamente allegre. A una di loro scrisse: «Divertiti, ma custodisci la mente e il cuore. Divertiti, ma le comunioni che fai siano fervorose. Divertiti, ma non dimenticare la tua tenera Madre Maria Santissima. Divertiti, ma la preghiera e la meditazione accompagnino le tue opere durante la giornata, ricordando che solo un attimo di amore di Dio vale più di tutte le bellezze e le ricchezze del mondo intero».

Gli ultimi anni e la morte
I disturbi di salute di madre Eugenia si moltiplicarono sempre di più: aveva problemi cardiaci, era affetta da diabete, spesso aveva coliche epatiche e anche la pleurite. Spesso doveva fermarsi per qualche tempo, ma riprendeva subito la sua attività. Dal 1876, ormai, si muoveva solo in carrozzella.
Oltre alla propria condizione fisica, le questioni burocratiche legate alle varie case la facevano penare. Ad esempio, la costruzione della nuova sede dell’educandato la lasciò senza soldi. Inoltre, aveva un rapporto molto difficile con la vicaria generale, che la osteggiò particolarmente nei suoi ultimi cinque anni di vita. Infine, il fratello Ambrogio, malato di mente, morì senza riacquistare la lucidità neppure per un momento: madre Eugenia aveva pregato a lungo per lui, nel suo pellegrinaggio a Lourdes del 1879.
Il 30 dicembre 1900 fu il suo turno, nella Casa madre del suo Istituto. Prima di rendere l’anima a Dio, a 55 anni, diede un’ultima raccomandazione: «Vi lascio tutte nel Cuore di Gesù».

La causa di beatificazione
La causa di beatificazione di madre Eugenia fu istruita nella diocesi di Genova, a partire dal 1948. Secondo le procedure in vigore, il 10 dicembre 1964 si ebbe il decreto sugli scritti, mentre l’introduzione della causa, ossia l’inizio della fase romana, avvenne il 26 gennaio 1981. Il decreto di convalida del processo informativo diocesano e di quello apostolico porta la data del 18 aprile 1986.
La “Positio super virtutibus”, consegnata nel 1992, fu esaminata dai Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi il 14 marzo 2000, mentre il 6 giugno dello stesso anno i cardinali e i vescovi membri della stessa congregazione la valutarono positivamente. Infine, il 1° luglio 2000, il Papa san Giovanni Paolo II autorizzava la promulgazione del decreto con cui madre Eugenia Ravasco veniva dichiarata Venerabile.

Il miracolo e la beatificazione

Come potenziale miracolo per ottenere la beatificazione fu considerato il caso di Eilen Jiménez Cardozo, una bambina di Cochabamba, in Bolivia. Rimasta paralizzata per quattro anni, aveva ripreso a camminare dopo che fu espressamente chiesta l’intercessione di madre Eugenia per lei.
Il decreto di convalida dell’inchiesta diocesana sull’asserito miracolo è stato emesso il 17 ottobre 1998. La Commissione medica della Congregazione delle Cause dei Santi, il 17 gennaio 2002, si pronunciò a favore dell’inspiegabilità scientifica della guarigione. I consultori teologi, il 14 maggio seguente, confermarono il nesso tra la guarigione e l’intercessione richiesta, mentre i cardinali e i vescovi della Congregazione diedero la loro risposta affermativa il 4 giugno 2002. Con la promulgazione del decreto sul miracolo, il 5 luglio 2002, per madre Eugenia Ravasco si apriva definitivamente la via verso gli altari.
La sua beatificazione si svolse in piazza San Pietro a Roma il 27 aprile 2003, insieme a quella di altri cinque Venerabili. La sua memoria liturgica, per la diocesi di Genova e per la congregazione da lei fondata, fu stabilita al 23 ottobre.
I resti mortali della Beata Eugenia Ravasco sono esposti alla venerazione dei fedeli nella cripta della cappella della Casa madre delle Figlie dei Sacri Cuori, in piazza Carignano a Genova.

Le suore dell’Istituto Ravasco oggi

Le Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, più note come suore dell’Istituto Ravasco, hanno ottenuto il pontificio Decreto di Lode il 23 novembre 1907. Portano avanti la loro missione educativa in appoggio alle parrocchie, ma anche in asili e scuole, e s’impegnano per la promozione della donna.
Sul continente europeo contano case, oltre che in Italia (la Casa generalizia è a Roma), in Albania e in Svizzera. Hanno una presenza massiccia nel Sud America, precisamente in Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Messico, Paraguay, Venezuela. Completano il quadro delle case in terra di missione quelle in Costa d’Avorio e nelle Filippine.


Autore:
Emilia Flocchini

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Ef 4, 7-16
Cristo è il capo: da lui tutto il corpo cresce.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, a ciascuno di noi, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto:
«Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri,
ha distribuito doni agli uomini».
Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.
Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.
Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità.

Salmo Responsoriale         Dal Salmo 121
Andremo con gioia alla casa del Signore.

Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!

Gerusalemme è costruita
come città unita e compatta.
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore.

Secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.

Canto al Vangelo
   Ez 33,11
Alleluia, alleluia.

Io non godo della morte del malvagio, dice il Signore,
ma che si converta dalla sua malvagità e viva.
Alleluia.

Vangelo   Lc 13, 1-9
Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».