Messa quotidiana

Santa Messa 28-4-24

V DOMENICA DI PASQUA
Anno B

Crescita e tensioni nella Chiesa

La Chiesa si costruisce a poco a poco; fa progressi, si moltiplica guidata dallo Spirito. Innestata sulla fede nel Cristo risorto la nuova comunità, quale vite feconda, estende i suoi rami.

Diverse chiese, ma un’unica Chiesa
Il racconto della prima visita di Paolo a Gerusalemme dopo la sua conversione, mette in luce due elementi: Paolo vuole incontrarsi con i discepoli della Chiesa-madre perché sia riconosciuta, anche visibilmente, la sua comunione con i fratelli che sono, stati i testimoni privilegiati della risurrezione di Cristo; in tal modo viene sottolineata pure l’unità della missione evangelizzatrice della Chiesa. Come infatti in Gerusalemme aveva avuto il suo culmine e il suo compimento la missione di Gesù (cf il tema della «salita a Gerusalemme» nel tempo di preparazione alla Pasqua), così da Gerusalemme parte e si diffonde la missione degli apostoli e di Paolo, per raggiungere uomini di razze e culture diverse: «La Chiesa… dunque… cresceva e camminava nel timore del Signore colma del conforto dello Spirito Santo» (prima lettura).
Sorgono le diverse Chiese nei punti nevralgici degli itinerari apostolici, ma tutte sono raccolte nell’unità della fede e della carità di Cristo. Ciò avviene nell’ambito di una Chiesa che si costruisce dopo la risurrezione di Cristo; ma il medesimo dinamismo di crescita e di espansione è vivo e vitale anche oggi. Il centro di unità si è spostato dalla Chiesa di Gerusalemme alla Chiesa di Roma: essa possiede modelli di organizzazione e di pensiero caratteristici della cultura in cui si è inserita e che ha pure trasformato. Ma non li impone alle Chiese locali le quali — incarnate in paesi con proprie culture — devono trovare una specifica fisionomia per l’annuncio dell’unico messaggio salvifico. Si instaura così un regime di unità nel pluralismo che non va esente da squilibri e tensioni.

Un’unica vigna innestata sul ceppo che è Cristo
Si inserisce qui il Vangelo di Giovanni che è anch’esso un discorso di Chiesa e di unità della Chiesa. Il tema centrale è quello dell’intima unione tra Cristo e il Padre (Gesù è la vera vite di cui il Padre ha cura; cf vangelo), tra Cristo e i discepoli (i tralci innestati sulla vite; cf vangelo). La preoccupazione del Signore per l’avvenire del suo corpo che è la Chiesa da lui fondata, è quella di restare innestati in lui: condizione essenziale per portare frutto.
Il cristiano oggi più che mai è chiamato a «portare “molto frutto”: nella giustizia sociale, perché essa non sia solo lotta per la conquista di un potere, ma potere di rispetto e di amore per ogni creatura, dal bimbo che fiorisce nel grembo della madre, al vecchio che avvizzisce nella carne, all’ombra di un cronicario e nella solitudine; nella promozione umana, dove l’uomo non è solo il protagonista di una storia senza significato che si ripete all’infinito, ma il figlio e il fratello che nella storia trova la sua strada che conduce al cuore del Padre; nella comunione personale e comunitaria con la persona di Gesù  che, se vive nella comunità dei credenti, tuttavia la trascende nella sua pienezza di amore personale.
In questo vivere dinamicamente la fede, non solo è glorificato il Padre, ma quella gloria si riversa sul volto dell’uomo dove i tratti della fatica e del dolore non assumono più i segni di una condanna, ma diventano il preludio della vita» (G. Sacino).

Nel pluralismo l’unità
Ogni crescita è sempre accompagnata da tensioni, da squilibri. Questo nel campo fisiologico, in quello sociale, politico, religioso. Le tensioni che oggi attraversa la Chiesa possono rivelarsi feconde e costruttrici a condizione che siano vissute nell’amore, fuori di ogni risentimento, di ogni nuovo integrismo.
«Le tensioni attuali diventano illegittime quando si trasformano in settarismo. Lo stesso ardore che i cristiani mettono nella lotta contro tutte le discriminazioni razziali, etniche, ideologiche, nazionali, deve riscontrarsi, per evitarle, nell’ambito del popolo di Dio.
Sappiamo, purtroppo, che non è così. L’intolleranza e la scomunica reciproca infieriscono troppo spesso; come infieriscono i rifiuti, pratici o sistematici, di comunione con gli altri fratelli cattolici che non condividono la stessa opzione politica o che non appartengono alla stessa categoria sociale o culturale. Questa reale contraddizione fra il comportamento interno e il comportamento esterno dei cattolici deve essere eliminata, sotto pena di menzogna, di contro-testimonianza e d’inefficacia» (M. Roy).
Parliamo molto di pluralismo, ma non abbiamo ancora capito che il pluralismo è più difficile dell’unità monolitica, esige maggiore maturità, maggiore capacità di dialogo, maggior rispetto e amore. Per questo è più fecondo.

 Cristo è luce

Dai «Discorsi» di san Massimo di Torino, vescovo
(Disc. 53, 1-2. 4; CCL 23, 214-216)
La risurrezione di Cristo apre l’inferno. I neofiti della Chiesa rinnovano la terra. Lo Spirito Santo dischiude i cieli. L’inferno, ormai spalancato, restituisce i morti. La terra rinnovata rifiorisce dei suoi risorti. Il cielo dischiuso accoglie quanti vi salgono.
Anche il ladrone entra in paradiso, mentre i corpi dei santi fanno il loro ingresso nella santa città. I morti ritornano tra i vivi; tutti gli elementi, in virtù della risurrezione di Cristo, si elevano a maggiore dignità.
L’inferno restituisce al paradiso quanti teneva prigionieri. La terra invia al cielo quanti nascondeva nelle sue viscere. Il cielo presenta al Signore tutti quelli che ospita. In virtù dell’unica ed identica passione del Signore l’anima risale dagli abissi, viene liberata dalla terra e collocata nei cieli.
La risurrezione di Cristo infatti è vita per i defunti, perdono per i peccatori, gloria per i santi. Davide invita, perciò, ogni creatura e rallegrarsi per la risurrezione di Cristo, esortando tutti a gioire grandemente nel giorno del Signore.
La luce di Cristo è giorno senza notte, giorno che non conosce tramonto. Che poi questo giorno sai Cristo, lo dice l’Apostolo: «La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13, 12). Dice: «avanzata»; non dice che debba ancora venire, per farti comprendere che quando Cristo ti illumina con la sua luce, devi allontanare da te le tenebre del diavolo, troncare l’oscura catena del peccato, dissipare con questa luce le caligini di un tempo e soffocare in te gli stimoli delittuosi.
Questo giorno è lo stesso Figlio, su cui il Padre, che è giorno senza principio, fa splendere il sole della sua divinità.
Dirò anzi che egli stesso è quel giorno che ha parlato per mezzo di Salomone: «Io ho fatto sì che spuntasse in cielo una luce che non viene meno» (Sir 24, 6 volg.). Come dunque al giorno del cielo non segue la notte, così le tenebre del peccato non possono far seguito alla giustizia di Cristo. Il giorno del cielo infatti risplende in eterno, la sua luce abbagliante non può venire sopraffatta da alcuna oscurità. Altrettanto deve dirsi della luce di Cristo che sempre risplende nel suo radioso fulgore senza poter essere ostacolata da caligine alcuna. Ben a ragione l’evangelista Giovanni dice: La luce brilla nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno sopraffatta (cfr. Gv 1, 5).
Pertanto, fratelli, tutti dobbiamo rallegrarci in questo santo giorno. Nessuno deve sottrarsi alla letizia comune a motivo dei peccati che ancora gravano sulla sua coscienza. Nessuno sia trattenuto dal partecipare alle preghiere comuni a causa dei gravi peccati che ancora lo opprimono. Sebbene peccatore, in questo giorno nessuno deve disperare del perdono. Abbiamo infatti una prova non piccola: se il ladro ha ottenuto il paradiso, perché non dovrebbe ottenere perdono il cristiano?

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  At 9, 26-31
Bàrnaba raccontò agli apostoli come durante il viaggio Paolo aveva visto il Signore.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo.
Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.
La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.

Salmo Responsoriale  
Dal Salmo 21
A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea.

Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre!

Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.

A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.

Ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!».
 
Seconda Lettura  
1 Gv 3, 18-24
Questo è il suo comandamento: che crediamo e ci amiamo.

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.
Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

Canto al Vangelo   Cf Gv 15,4a.5b
Alleluia, alleluia.

Rimanete in me e io in voi, dice il Signore;
chi rimane in me porta molto frutto.
Alleluia.

   

Vangelo  Gv 15, 1-8
Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».